Grazie al suo passato è l’icona del Team Minardi F1. Ha portato al debutto la M185, la prima monoposto F1 firmata dal team faentino, ha conquistato il primo punto mondiale nel Gran Premio degli Stati Uniti nel 1988 e corso 104 Gran Premio, su 120, al fianco di Gian Carlo Minardi. Parliamo di Pierluigi Martini, nel cui palmares compare anche la vittoria nella 24 Ore di Le Mans nel 1999. Ha dato un seguito al binomio Minardi-Martini degli anni ’70 quando suo zio, Giancarlo, corse con la Scuderia del Passatore ed Everest del giovanissimo Minardi in Formula 2.
“Ho conosciuto Minardi fin da ragazzo, seguendo le gare di mio zio Giancarlo in Formula Italia e Formula 2. Nel 1983, proprio con Gian Carlo, conquistai il secondo posto a Misano al volante della Minardi-BMW F2, dopo aver conquistato anche il titolo nella Formula 3. Per il suo debutto in Formula 1 nel 1985 mi volle con lui” ricorda Pierluigi Martini ai microfoni di www.Minardi.it “Fu un’esperienza tanto difficile quanto importante poiché, essendo l’unico pilota, tutte le responsabilità erano sulle mie spalle. Stagione comunque positiva poiché al debutto assoluto conquistammo l’ottavo posto in Australia. Col punteggio di oggi ci avrebbe consegnato i primi punti mondiali. A fine stagione le nostre strade si divisero. Tornai in F.3000 dove nel 1986 conquistai il secondo posto nel Mondiale Intercontinentale, e con grande piacere, Gian Carlo mi richiamò al suo fianco nel 1988 in occasione del gran premio di Detroit, ripagando la sua fiducia col primo punto mondiale grazie al sesto posto. Iniziò un bellissimo rapporto che durò fino al mio ritiro dalla F1 nel 1995, con la sola parentesi del ’92 con la Scuderia Italia. Dopo una pausa è arrivata la vittoria alla 24 Ore di Le Mans con la BMW nel 1999″
Come puoi descrivere il romagnolo Gian Carlo Minardi?
Persona unica. Grazie alla sua “incoscienza”, frutto di intelligenza e passione per questo sport, ha costruito un qualcosa di veramente incredibile per la Romagna.
E’ stato in grado di lanciare non solamente tanti piloti, ma anche ingegneri e meccanici di altissimo livello. Nessuno come lui
Hai qualche aneddoto legato alla sua figura da raccontarci?
Aneddoti particolari non saprei, così su due piedi. Certamente parliamo di una persona molto attenta ad osservare il gruppo e a proteggerlo dagli attacchi che potevano arrivare dall’esterno. Un grande padre di famiglia.
Cosa ti ha insegnato l’avventura nel Minardi Team?
Avendo corso anche per altri team come Scuderia Italia, Williams e BMW nella 24 Ore di Le Mans e nella GP Master, ho apprezzato e capito quanto il Minardi Team fosse organizzato. Quando sei in Formula 1 con risorse ridotte, impari a massimizzare le forze e sincronizzare tutti i reparti. Posso affermare senza alcun dubbio che il Minardi Team era una grandissima scuderia, perfetta. Mancava solamente il motore. Diversamente da quanto succede ora, in quegli anni un motore “vecchio” pagava anche 200 cv rispetto alla concorrenza.
Sappiamo che l’Ing. Chiti, ti chiamava “Fagianetto” Da cosa deriva questo simpatico soprannome?
Era un soprannome per rendersi simpatico e nascondersi dalle “cappelle” che commetteva. Con quel soprannome provava a sdrammatizzare una situazione difficile.
Insieme a Morbidelli, siete stati i primi piloti in assoluto ad avere un motore Clienti Ferrari. Cosa ti aveva colpito del propulsore di Maranello?
Purtroppo era un motore nato per essere abbinato ad un cambio automatico, che a noi in quel momento mancava, creando problemi alla frizione. Il sound era certamente fantastico, ma sarebbe stato più bello avere la giusta affidabilità per essere protagonisti.
Parlando con te, ci viene in mente il rocambolesco incidente di Monza 1993. Come andò e cosa ti disse Minardi una volta rientrato ai box?
In quel momento stavo difendendo la mia settima posizione. Fino a 10 giri dalla fine ero in quinta posizione, ma la rottura della quinta marcia mi aveva fatto perdere le posizioni. Ho provato a difendermi dall’attacco di Christian spostandomi sulla destra, ma lui mi ha seguito. Ho poi sentito la botta al posteriore. Con la sua ala mi ha toccato la ruota posteriore. Non vedendolo più negli specchietti avevo pensato al peggio. Il giro di rientro è stato veramente difficile. Avevo paura fosse finito in mezzo al pubblico. Per sua fortuna andò tutto per il meglio. Anche in quell’occasione Gian Carlo fu bravissimo a gestire la situazione. La telemetria evidenziò che non avevo commesso nessuna scorrettezza. Pertanto fu archiviato come incidente di gara.
Con quale pilota si è creata un’amicizia particolare e chi è stato l’avversario più tosto?
Con Paolo Barilla si è creata un’amicizia profonda. Con tutti gli altri una grande stima e sana rivalità. Il più tosto è stato JJ Lehto nel mio periodo in Scuderia Italia
104 gran premi col Minardi Team in F1. Quali sono stati i momenti indimenticabili?
Momenti belli ce ne sono stati tantissimi. Dal primo punto Mondiale a Detroit, il giro in testa in Portogallo oppure il quarto posto conquistato ad Estoril nel 1991. Indimenticabile i momenti passati insieme agli ingegneri Tredozi e Costa per sviluppare la macchina. In quegli anni, il cronometro era l’unico termometro per giudicare gli sviluppi. Quando trovavi la direzione giusta, era una bellissima soddisfazione
e quelli più difficili?
Senza alcun dubbio la scomparsa di Ayrton Senna, che mi convinse a chiudere la mia avventura, l’anno successivo, in Formula 1. Aggiungerei anche gli incidenti di Imola ’90, quando mi ruppi la gamba, Nurburgring e Montecarlo
Hai nominato Ayrton
Senna è stato miglior pilota in assoluto che abbia mai avuto il piacere di incontrare. Era in grado di tirare fuori sempre il massimo dal team. Lui dava il 120% e riusciva a coinvolgere tutta la scuderia spronandola a dare il 110%
Visto il tuo forte legame col team faentino, e da romagnolo, venivi coinvolto nella scelta dei tuoi compagni?
Minardi faceva le sue scelte. Cercava sempre piloti che potessero mettermi in difficoltà. Questo mi faceva un po’ arrabbiare, ma al tempo stesso era un grandissimo stimolo
Ti capitava spesso di andare nella factory a parlare con gli ingegneri per vedere nascere le macchine?
Vivevo dentro la factory. Mi piaceva tantissimo vedere il lavoro degli ingegneri sulla macchina. Da li riuscivi a togliere quei 2-3 dec dal tempo sul giro. Sono stati anni fantastici
Quest’anno sei tornato al volante della M186 e M189 in Austria e a Goodwood. Cosa hai provato in quei momenti
Ho capito quanto fossimo folli a correre a 300km/h con quelle macchine. Il tempo però è come se non si fosse fermato. Mi sono subito sentito a mio agio. La M186 l’avevo guidata solamente in prova e devo dire che era una macchina eccezionale, competitiva e ben bilanciata. Con un motore Cosworth avrebbe regalato al team belle soddisfazioni. La M189 era una macchina cucita addosso, che ci ha regalato due quinti e sesti posti, la prima fila in America e la teste dalla corsa portoghese. E’ stato bello tornare nell’abitacolo.
Nei mesi scorsi, ci avevi anticipato il progetto Minardi-Day. Sappiamo che si sta creando una grande attesa tra i vari appassionati. Cosa ci puoi raccontare e come stanno andando avanti i preparativi?
Insieme a Minardi stiamo lavorando per preparare il programma, confrontandoci anche sui costi. Il periodo dovrebbe essere a fine giugno, ma solamente nei prossimi mesi sapremo qualcosa di più preciso. Il nostro obiettivo è quello di riportare a Imola tutte le monoposto costruite da Gian Carlo, con l’aggiunta di altre F1, con l’intento di ricreare quella fantastica e indimenticabile atmosfera